Che l’Irpinia sia piena di antichi miti, riti e leggende è cosa nota a chi calpesta questa terra tanto più vera quanto agricola e faticosa: raramente come a Montecalvo Irpino, però, l’insieme di queste storie diventa uno scrigno ordinato di gemme riunite in un piacere gioioso. Montecalvo, insomma, è narrativa non scritta, ma testimoniata e, spesso, a lieto fine. Di tutte le storie in cui mi sono imbattuto in questo piccolo paese dell’Irpinia, ne ho scelte tre per voi: un piccolo assaggio che è un invito a scoprire un tesoro molto, ma molto più grande. Il vicoletto degli innamorati: a Montecalvo esiste vicolo de Cillis, dedicato a una delle famiglie più importanti del paese. Da tempo però il suo nome è quello di “vicoletto degli innamorati”.
La storia ha origine comune, ma declinazione poetica e realizzabile. Nei tempi antichi, il corteggiamento era pressoché impossibile: l’aspirante innamorato doveva vedersela con la famiglia della sua bella e col riserbo e gelosia dedicate alla figlia femmina. Come fare allora a far capire il sentimento? Al vicolo degli innamorati. Si tratta di una lunga e stretta scalinata scavata nella roccia, adatta per essere percorsa in un solo senso di marcia alla volta. Lo spasimante attendeva il suo amore in cima alla scalinata e quando lo vedeva salire, iniziava a scendere, fingendo di dover arrivare in fondo alla scalinata. Favorito dagli spazi angusti, l’amante lanciava sguardi e sfiorava l’oggetto del suo desiderio, lontano da occhi indiscreti. Come si dice: galeotto fu il gradino! Concorrenza impari: immagine tipica di Montecalvo è la pacchiana, la donna vestita con abito a festa venuta a noi direttamente dai tempi antichi e liquidi della tradizione. Le nostre guide, dell’associazione "I pupini", con un sorriso sornione ci mostrano una cosa: «vedete la gonna? Arriva al ginocchio! Se notate negli altri paesi dell’Irpinia, i vestiti da festa sono quasi tutti lunghi fino ai piedi! Vedere le gambe accendeva di desiderio gli spasimanti e rendeva le Montecalvesi le donne più ricercate». La tradizione trova riscontro nei racconti degli antichi dei paesi vicini: nei balli delle feste patronali del circondario, all’epoca unica occasione per trovare marito, le donne di Ariano e Apice venivano puntualmente scavalcate dalle “svergognate” di Montecalvo. La rabbia d’amore è durata nel tempo.
Rabbia al ragù: a proposito di rabbia d’amore, sappiate che a volte si trasforma in un peccato di gola. Come? Tutto nasce da due coniugi montecalvesi in lotta tra loro. Dopo una lite particolarmente accesa, la moglie andò via di casa e, per far passare la rabbia, si mise a fare la pasta. Nel maneggiare l’impasto, però, immaginò di accecare il marito cattivo e, premendo premendo, le uscì una pasta particolarmente incavata, che è diventata la pasta tradizionale di Montecalvo. Il nome? I cicatielli, in onore al bieco marito sul quale meditare vendetta. La pasta, tra l’altro, tiene benissimo il sugo, ed è meravigliosa col ragù!
Queste storie, e molte altre, condividono colori vivaci, una certa gioia di fondo e una buona dose di conseguenze di sentimenti esagerati, come se avessero un comune denominatore. Non mi stupirebbe ritrovarlo in un’altra leggenda montecalvese: si narra infatti che fino a pochi decenni fa crescesse spontaneamente proprio qui lo “stramonio”, un’erba dai fortissimi poteri allucinogeni che le anziane utilizzavano per insaporire le zuppe. A quanto sembra, però, non se trova più traccia: sarà forse finita, o tenuta ben nascosta da qualche cantastorie pronto a ricaricarsi con una botta di “inventiva”…
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