È passato un anno dalla morte di Felice Cristino, avvenuta a Montecalvo Irpino il 1° febbraio 2010. Il suo ricordo è immutato nei familiari e ancora vivo in chi lo conobbe e ne apprezzava le capacità affabulatorie e canore. Grande raccontatore di antichi “cunti” e cantatore di canti arcaici contadini, durante i lavori nei campi, affascinava pìccul’e gruóssi.Era nato nel 1921 e nel 1945, finita la guerra, tornò dai genitori dalla Grecia, dov’era stato prigioniero dei tedeschi. Fu bracciante, come le moltitudini di lavoratori agricoli, quando l’aratro adoperato nei campi era ancora tirato dai buoi. Sposatosi con Annunziata Blundo, ebbe tre figli e visse da contadino e pastore, affittuario di un appezzamento di terra con casolare, in contrada Frascino, che con gli anni sarebbe riuscito a comprare. Visse con orgoglio del proprio lavoro onesto e dignitoso. Fu poeta-contadino e aderì al Partito comunista. Non avrebbe mai rinunciato agli ideali di sinistra. Era uno straordinario depositario della cultura orale locale e sapeva trasmetterla col sorriso.
Una figura emblematica dell’Irpinia arcaica, che feci conoscere ad Aniello Russo e a Roberto De Simone. Grazie alla sua disponibilità e affabilità, è stato il mio informatore prediletto e dalla sua memoria ho potuto attingere negli anni moltissimi canti, tra cui il poema contadino cantato “Angelica”, unico in Irpinia, e poi aneddoti, cunti, filastrocche e un numero cospicuo di vocaboli dialettali, facenti parte del mio glossario montecalvese, purtroppo ancora manoscritto. L’estate scorsa sono tornato, come una volta, nella sua casa di campagna e vi ho trovato la moglie, zi’ Nunziàta, che con coraggio ancora vi abitava. Erano maturi i gelsi e cadevano dalla pianta, sotto la cui ombra d’estate si teneva il filò. Lei era in attesa dei due figli maschi emigrati al Nord, dove vivono con le famiglie. E i figli poi sono arrivati. Sono stati lì alcuni giorni e sono ripartiti. Anche se nella casa e nella campagna intorno se ne avverte ancora la presenza, Felice Cristino non torna più. Con la sua allegria e la sua saggezza. E all’inizio di quest’inverno, la moglie se ne è andata a vivere dalla figlia, che ha la masseria alla Malvizza. A pochi chilometri di distanza. Ma è la distanza da quel mondo mitico e magico, che lui trasmetteva con naturalezza, che aumenterà sempre più col tempo. Anche se il suo ricordo resterà fisso nella mente di coloro che lo hanno condiviso. Pure nelle campagne, da alcuni decenni, è cambiata la gestione del lutto. Niente è più come prima!
Ed io, a zi’ Filìci, voglio qui ricordarlo con una filastrocca montecalvese:
“Chi chjagne lu muórtu / so’ llàcrimi pèrze. /Pènz’a mmurì / ca sta chi ti porta!; Piangere il morto / sono lacrime
perse. / Pensa a morire / che c’è chi ti trasporta!”.
Angelo Siciliano, Dal "Corriere dell'Irpinia" del 01/02/2011
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