Il sisma del 21 agosto 1962 può essere considerato un episodio apparentemente minore della storia dell'Italia repubblicana. Oscurato negli anni da ben più gravi calamità in termini di perdita di vite umane, questo terremoto è rimasto vivo solo nella memoria di coloro che lo hanno vissuto in prima persona e di chi abita ancora oggi nei luoghi più colpiti. Eppure per i contemporanei si trattò di  un evento a dir poco traumatico, che suscitò una grande ondata di solidarietà nei confronti delle popolazioni flagellate dalla calamità. C'è un filo sottile che collega, non solo dal punto di vista geologico, i terremoti del 1930, quello del 1962 e quello del 1980 ed è doveroso riprenderlo se si vuole ricostruire la complessità in cui operano i vari elementi di  sviluppo e di arretratezza in Campania ed in parte del Sud Italia.

A tre anni e mezzo d’età, nel 1949, con mia madre vedova, ero diventato capofamiglia.

Il 21 agosto 1962, giorno del terremoto, avevo 16 anni ed ero a Montecalvo Irpino, studente all’Istituto G. Bruno per geometri e ragionieri ad Ariano Irpino.

Quel giorno avevamo trebbiato il nostro grano in contrada Frascino, a sei km dal nostro casino di campagna alla Costa della Mènola, sotto il centro storico del paese.

Vi era stata una scossa sismica nel pomeriggio ed era pure piovigginato. La gente era in preallarme, perché molti ricordavano il tremendo terremoto del 1930, che fece 83 vittime in paese.

Un camioncino trasportò la nostra decina di sacchi di grano in Piazza Porta della Terra, dove c’erano le bancarelle illuminate per il terzo giorno di festa di S. Pompilio Maria Pirrotti.

Era stato da poco scaricato e sistemato il nostro grano che, all’imbrunire, vi fu la grande scossa sussultoria, con la gente che urlava e scappava fuori dalle case e dai vicoli.

Vi furono corti circuiti nelle linee elettriche urbane e s’interruppe la distribuzione dell’energia elettrica. L’illuminazione pubblica si spense e il buio sarebbe durato tutta la notte.

Anch’io e mia madre scappammo come gli altri e corremmo al nostro casino in campagna, a circa 400 metri di distanza, a vedere cosa fosse successo e dove fosse mio fratello di 13 anni.

Al casino ritrovammo mio fratello e alcune decine di persone, spaventate dal sisma, che erano scese giù dalle loro case in paese.

Mia madre dispose che chi voleva, potesse passare la notte da noi coricato sulla paglia, fuori dal casino, che era intatto, ma le scosse di assestamento continuavano.

Sistemati che furono tutti, dissetato e sfamato chi ne aveva bisogno, mia madre, dopo aver controllato e accudito i nostri animali, la pecora, i due maiali, i conigli e le galline, decise che io e lei dovevamo andare a recuperare il nostro grano in paese, per riempire il granaio, “l’arcóne”, perché quello era il nostro pane per un intero anno, “lu ppane nuóstu pi n’annu sanu”.

Alla luce di una torcia elettrica ci recammo in piazza, dove c’era il buio fitto, le bancarelle erano state svuotate e le persone sparite. Si sentivano delle voci lontane.

Il nostro grano ci aspettava. Dividevamo ogni sacco di grano in due, aiutavo mia madre a caricarsi il suo sacco sul capo, io mi caricavo il mio in spalla e scendevamo al casino, dove lasciavamo sistemati i nostri carichi.

Continuammo così finché non finimmo, dopo le undici di sera, sempre con gli echi delle voci lontane nel buio. Si udivano anche urla strazianti, su una collinetta di fronte, per una mamma deceduta per lo spavento, avendo visto suo marito sorpreso dal terremoto, mentre era sul balcone di casa. Fu l’unica vittima del terremoto in paese.

I lamenti funebri, per quella mamma sistemata sulle stoppie sotto un noce, sarebbero durati per tutta la notte, rischiarata da una mezza luna che avanzava nel cielo.

Tutti noi, oltre una ventina di persone, stesi a terra sulla paglia, l’uno accanto all’altro con qualche panno addosso, cercavamo di dormire e darci coraggio ma le scosse sismiche continuavano. Le percepivamo sotto di noi, come dal cuore della terra, e ci facevano quasi rotolare.

L’indomani fu un altro giorno, ma niente sarebbe stato più come prima. (A. Siciliano – Zell, 28.08.2019)

 

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