In occasione del venticinquesimo anniversario di promozione cardinalizia dell’ Em.mo Sig. Cardinale Giuseppe Caprio, i professori Francesco Lepore e Donato D’Agostino hanno curato una miscellanea di studi in suo onore pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana nello scorso mese di maggio.
Il volume di oltre 900 pagine contiene una sezione di storia che interessa molto da vicino alcuni paesi della nostra provincia.
Carmelo Lepore, preside emerito di liceo e redattore della rivista “Studi Beneventani”, ha scritto un interessante articolo sugli “Scriptoria Beneventani. Produzione libraria d’età medievale in Benevento e sua persistenza nell’area sannito-irpina della diocesi. Esempi di biblioteche parrocchiali della seconda metà del XIV secolo nella serie inventariale del Ms. Benev. 295”.
I paleografi la chiamano “beneventana” la scrittura documentaria e libraria prodotta nel medioevo nell’Italia meridionale. Se Montecassino fu senza dubbio un centro di irradiazione di cultura, e di produzione scrittoria, non vanno trascurati i centri minori della Langobardia.

Dei manoscritti in scrittura beneventana della Biblioteca Capitolare del centro sannita si sono interessati due studiosi benedettini Jean Mallet e André Thibaut, sulla scia dei quali “si sono mossi –scrive Carmelo Lepore- altri studiosi, che, nell’arco d’un quindicennio, hanno validamente contribuito a illuminare e precisare il ruolo non irrilevante svolto dalla capitale dell’antico ducato longobardo nella produzione di materiali scrittori e nella formazione e conservazione di specifici usi liturgici”.
Molti dei manoscritti in beneventana finora identificati possono essere ricondotti in particolare alla Biblioteca Capitolare di Benevento, “il cui fondo attuale rappresenta il più importante (e pressoché esclusivo) termine di riferimento per gli studiosi della liturgia e del canto specificamente “beneventano”.
“Più del cinquanta per cento di questi manoscritti –afferma il Lepore- non è più conservato in loco e risulta disperso in varie e prestigiose biblioteche sia italiane sia straniere. Ma una loro sommaria analisi, condotta sulla scorta dell’elenco recentemente stabilito da Virginia Brown, consente d’affermare che per più secoli (tra il IX e il XIII, almeno) Benevento fu un affermato e operoso centro di produzione di libri in scrittura beneventana”.
Interessante per alcuni comuni irpini è il volume cartaceo della Biblioteca Capitolare, compilato durante l’episcopato di Ugo Guidare tra il 1364 e il 1370, che contiene una serie d’inventari di beni mobili e immobili di 53 chiese della città, della diocesi e del monastero di S. Biagio di Mirabella Eclano. “Le chiese urbane recensite –annota il Lepore- sono 29, le diocesane 24; quest’ultime, eccettuatene tre, appaiono tutte dislocate nell’area meridionale della diocesi e, più propriamente, in quella che fu la baronia della Montagna di Montefusco”.
Ciascuna chiesa aveva una sua biblioteca che comprendeva in media cinque libri liturgici soprattutto in scrittura beneventana. Le chiese dell’ archidiocesi ricadenti oggi nel territorio della nostra provincia sono: S.Gennaro e S.Giovanni di Venticano, S.Angelo (a Cancelli) e S. Apollinare (di Pappaciceri) in Pietradefusi, S.Damiano, S. Luca, S.Pietro de Cerreto e S.Maria di Torre le Nocelle, S.Eustasio di Montaperto, S.Matteo, S. Nicola de Francis, S.Nicola di Viturano, S. Pietro de Ferrariis, S.Lucia di Capodimonte, S.Maria a Carfagnano, S. Maria della Piazza e S. Stefano nel territorio di Montefusco. Nella chiesa di S.Eustasio di Montaperto si trovano 14 libri e in quella di S. Maria della Piazza ben 18.
Nelle “Note di architettura normanno-sveva in Campania” l’architetto Francesco Bove, redattore della rivista “Studi Beneventani”, si sofferma, tra l’altro, sul castello Malerba di Summonte, oggetto di indagine archeologica una quindicina di anni fa da parte di Domenico Camardo con la Sovrintendenza BAAS di Salerno Avellino e Benevento.
“Intorno a una torre a sezione circolare –scrive l’architetto Bove- e a base troncoconica, d’epoca angioina, sono emersi i cospicui resti d’un fortilizio quadrangolare con torrette cilindriche d’angolo e col corpo centrale emergente a guisa di mastio, poi incorporato nella torre del XIV secolo. Nonostante le analogie formali col castello di Termoli, l’analisi stratigrafica ha riferito la fondazione del castrum all’età di Ruggero II. Ulteriori indagini, esaurite nello scorso anno, oltre a confermarne l’attribuzione al periodo normanno, hanno mostrato che questa ben definita architettura era stata sovrapposta a una precedente fortificazione d’ XI secolo, formata da una torre e da un recinto di pali lignei, senza alcuna connessione strutturale con le parti preesistenti”.
Si tratta, sostiene l’autore, di una munitio o meglio di un balium militum. E quanto mai opportuna viene la spiegazione del termine “balium”, di derivazione forse inglese, “si può intendere –precisa Francesco Bove- un recinto di forma quadrata, rettangolare o trapezoidale, formato da mura di non grande altezza, fabbricate in pietra sbozzata (in qualche caso anche pietra concia) e malta, rafforzate agli angoli da piccole torri a sezione circolare o quadrata. All’interno di questo recinto si trovava una ampia corte, circondata da pochi ambienti di ridotta profondità (a eccezione del lato opposto alla porta d’ingresso, dove si trovava il volume di maggiore dimensione) accostati alle difese perimetrali. Le superfici incluse dalla recinzione possono variare da poco meno di 1.000 a circa 5.000 metri quadrati”. Di un balium militum conserva il nome la chiesa di S. Giovanni del Vaglio in Montefusco.
“Il castrum Submontis –sottolinea l’architetto Bove- faceva parte della contea di Avellino, tenuta da Ruggero de Aquila, ed era stato assegnato in suffeudo a Raone de Fraineta. Costituiva uno dei punti avanzati della difesa della valle avellinese e controllava i percorsi, che, provenienti dalla Valle Caudina e da Benevento, erano diretti verso Avellino e Salerno. Nel 1134 fu preso e distrutto da Ruggero II, che, dopo averlo ricostruito nelle forme del balium, lo fece amministrare da Raone Malerba. Quando, nella prima metà del ‘300, Summonte passò alla famiglia della Leonessa, il fortilizio, ritenuto poco affidabile, fu trasformato in torre d’avvistamento di confine, sicché ne furono alterate sia la distribuzione interna sia la configurazione d’insieme”.
Padre Domenico Tirone, docente di storia della Chiesa nello Studio Teologico “Madonna delle Grazie” di Benevento, si sofferma sui “Conventi della Riformata Provincia di S. Angiolo in Puglia”, contiene brevi indicazioni sui 27 conventi della Provincia disposti cronologicamente.
“Per ogni convento –scrive Padre Tirone- l’autore (che è anonimo) indica la data di fondazione e riporta le concessioni relative alle cappelle e agli altari della chiesa conventuale…Alla p. 246 vi è l’aggiunta circa la concessione della quantità di sale per la comunità di Montecalvo Irpino nell’anno 1631, il 24 novembre”. Dei 27 conventi sei appartenevano all’Irpinia: S.Francesco di Ariano Irpino, S.Antonio di Bonito, S. Spirito di Castello (Baronia), S. Antonio di Montecalvo, S. Caterina di S. Martino (Valle Caudina) e S.Francesco di Zungoli.
Riportiamo soltanto, per esigenze di spazio, quanto trascrive Padre Domenico Tirone del convento di Zungoli: Convento posseduto da Conventuali sotto il pontificato di Leone X e doppo lungo tempo fu da essi abbandonato. Nel 1704 a 22 di giugno fu dato alla riforma. Lib. 2° pag. 28…
Nella pag. 280 dello stesso libro 2° nella congregazione di Ceppaloni si legge: poi si è determinato che li tomoli 100 di grano annua carità che da l’Università di Zungoli al convento per mantenimento del medesimo conoscendo esser di pregiudizio alla Regolare Osservanza nel permutarlo si cedono alla detta Università la quale si compromette di dare detta limosina in danaro di docati 75 e s’è conchiuso che li detti docati 75 s’applicano nella seguente maniera: per le pietanze docati 36= per la fabbrica docati 24= per altri bisogni del Convento e Frati docati 15 e non altrimenti. Secondo per togliere le liti tra il convento di Zungoli e di Castello per la questua di S. Sossio sì è determinato che il convento di Zungoli faccia in detta terra di S. Sossio la questua del mosto e mai più vada a questuare e resta libera tutto l’anno e tutte l’altre questue al convento di Castello. Così si osservi e non altrimenti…dato nel Convento dell’Annunziata di Ceppaloni li 3 gennaio 1706. Alla pag. 62 a tergo del 3° libro vi è la concessione della cappella di S. Antonio a Carmine Pecce di Serino casato a Zungoli coll’obbligo di farvi ogn’anno la festa, mantenerla in perpetuum e farvi la sepoltura per sé e i suoi propri. Così in Montecalvo a 12 decembre 1725. Nella pag. 243 del libro 3° vi è la concessione della cappella del P.S. Francesco al sign. Dott. D. Orazio di Florio di Montecalvo abitante in Zungoli coll’obbligo di 4 docati annui pel mantenimento. Così in Ascoli a 14 novembre 1747”.
E così questa Miscellanea nel rendere il dovuto omaggio al cardinale Giuseppe Caprio compie un’altra importante funzione, quella di fornire validi contributi all’approfondimento della storia della nostra provincia.

dal Corriere dell'Irpinia del 08 maggio 2005

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