Avv.Antonio Stiscia - Funzionario del comune di Montecalvo Irpino

Meno genuino, meno sano, meno nutriente: la conseguenza? Meno pane sulle tavole italiane, ma sempre più attenzione alla qualità. Colpa forse dei prezzi e anche delle diete, ma quel che è certo è che i nuovi consumatori rimpiangono il buon pane di una volta. Indaga tra nuove tendenze e tradizioni dei consumatori, il sondaggio della Swg voluto dall’associazione «Città del pane». L’occasione: la festa del pane all’ombra della Federazione panificatori - patrocinata da Senato, ministero delle attività produttive e Cnr - che vede mobilitati oggi 23mila panifici con mille iniziative. Il pane, tesoro prezioso della tradizione, ha visto in cent’anni scendere il suo consumo da mille a 120 grammi al giorno anche perchè spesso delude il palato. Secondo il sondaggio Swg - 800 i responsabili di acquisto delle famiglie intervistati - è costante, negli ultimi due anni, il numero di chi associa il consumo del pane a piacere edonistico e tradizione del territorio, ma sfilatini o rosette sono in calo quanti credono nelle sue proprietà salutistiche. «All’origine - spiega Corrado Barberis, presidente dell’Istituto di sociologia rurale e di OsservaPane - ci possono essere ragioni legate a farine impoverite dall’uniformità delle varietà seminate, alla progressiva scomparsa dei forni a legna o dei lieviti artificiali». Un calo che interessa 25.082 imprese artigianali (stima di Cna), 150 forni industriali: una produzione annua di 3.120mila tonnellate di pane, per un fatturato di 7,8 milioni di euro (230mila occupati

diretti, oltre 180mila quelli dell’indotto). Stando ai dati Istat, su 22.876mila famiglie, 12.870mila acquistano pane fresco ogni giorno, 2.688mila non lo comprano mai o raramente, 844mila fanno il pane a casa. Stabile dal 2003 il numero dei consumatori che vanno dal fornaio ogni giorno, in calo quelli più saltuari. Ma stando ai risultati del sondaggio Swg, i motivi ci sono. 

Rispetto al pane di una volta quello di oggi per il 71% degli intervistati è meno genuino, meno sano (68%), meno buono (62%), dura meno (59%), è meno nutriente (49%), meno sicuro (47%). Per ben sei italiani su dieci il pane tipico di regioni o città è più buono rispetto a quello comune. I prodotti più riconosciuti? Il pane pugliese, toscano e di Altamura. Ma il 46% non spenderebbe di più per averlo, gli altri sono disponibili a pagare al forno il 5,5% in più in cambio di genuinità e freschezza. I più giovani, base forte della tradizione: l’83,4% prefersice il panino, con formaggi o salumi, come merenda a scuola o a casa. Stando, infatti, a un’indagine della Coldiretti, in collaborazione con l’Inran (intervistati 3mila ragazzi tra i 14 e i 19 anni), nella hit parade dei gusti al secondo posto, a buona distanza dal panino, ci sono pizza o focaccia (58,4%), poi crackers, grissini (48,3%), snack salati (40,6%). Il calo dei consumi quindi «è colpa dei prezzi - denuncia il Codacons - dal 2001 a oggi l’aumento è stato in media del 40%». E scoppia la polemica. Parte da un centro campano, MONTECALVO Irpino, la protesta contro la legge che vincola, nei piccoli comuni, la quantità di produzione di pane al numero di abitanti. «Va abolita - dice Antonio Stiscia del municipio irpino - toglie la possibilità di crescere, per esempio, ad un paese del Sud a forte tradizione cerealicola, e impone un grano non nostro per legge, mentre i produttori locali chiedono contratti di sostegno per la reintroduzione del grano duro saraolla, autoctono fin dal medioevo». Il pane irpino va a ruba nei mercati campani. «E noi rischiamo - sbotta Stiscia - di dover mangiare pane rumeno». Il caso-irpino, un esempio tra tanti.«È importante trovare una sintesi tra produttori e istituzioni nel progetto ”Pane 100% italiano” - dice Edvino Jerian, Federconsumatori - che prevede contratti di filiera sulla scelta di quale grano coltivare e sul prezzo delle sementi predeterminato alla semina». Meglio insomma il pane di una volta magari tutelato, come suggerisce il Cna, da un marchio collettivo per le produzioni della tradizione. Anche perchè, avvertono i panificatori, il prodotto caldo e croccante che ci attira al supermarcato non è detto non sia precotto o surgelato in qualche industria alimentare.

DANIELA LIMONCELLI

Da il Mattino del 25 Maggio 2005

 

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