“…mentre il fluire dei corsi d’acqua Ginestra e Miscano lasciano scie serpeggianti di verde lussureggiante che si sottraggono al dominio dell’uomo. Là dove l’acqua lambisce il vecchio ponte di Santo Spirito, ci perdiamo nei voli delle damigelle e nello sgusciare delle rane, prima di riprendere il cammino”. Ecco le parole con quali due anni fa ho descritto quel punto preciso della Campania nella provincia di Avellino dove il Torrente Ginestra quasi si confonde con il Fiume Miscano per formare un bellissimo habitat per piante igrofile, insetti ed anfibi. Era agosto. Era caldo. I campi erano arsi, i colori inariditi. E’ così l’estate in quella terra che per millenni ha ben servito l’uomo, soddisfacendo le sue necessità, assecondando i suoi piaceri. Pochi segni flebili rimangono della natura che fu, ed oggi ce n’è uno in meno. Perché in quel punto incantato, ora c’è solo fango ed un rigagnolo d’acqua sudicia.L’aria puzza di gasolio e di vegetazione in decomposizione e chissà che fine hanno fatto le rane, le damigelle e le libellule. Volevo scrivere qualcosa di ragionata. Volevo parlare di nuove consapevolezze, dell’importanza della vegetazione igrofila come
regolatore di flusso, della fitopurificazione, del 60% delle specie europee di anfibi considerato in declino, principalmente per perdita d’habitat. Ma quando provo a scrivere, la stanchezza mi blocca le mani sulla tastiera, una stanchezza viscerale che non si risolve dormendo. I pensieri diventano torbidi come quell’acqua e le parole, come le damigelle, non volano più. Non è che esagero per quelli “pochi” chilometri di vita spazzata via? Lì oggi, altrove ieri e chissà dove toccherà domani. Lo stillicidio continua. Giorno dopo giorno, piccoli tasselli di vita se ne vanno e si indebolisce sempre di più quella rete vitale di fili sottili e interconnessi di cui, volente o nolente, noi facciamo parte. La Terra si impoverisce e diventa sempre più fragile. E noi con essa. Si renderà conto in tempo?
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