Il Messaggero – 1 dicembre 2003
Dirigenti in pensione? Il ministero li riassume
A 67 anni i capi dipartimento restano incarica come "esterni" : In attesa che una legge cambi i limiti d'età. La nuova procedura è stata inaugurata dai Rapporti con il Parlamento e dall'Istruzione. La Corte dei conti prima contesta la scelta, poi dà il via libera
di PIETRO PIOVANI
Ecco finalmente un incentivo efficace per convincere i lavoratori a rinviare il pensionamento, Un meccanismo perfetto: si prende la pensione, però si resta al proprio posto di lavoro. Purtroppo l'opzione non è alla portata di tutti. Bisogna essere altissimi dirigenti statali; possibilmente capi dipartimento, il grado gerarchico più èlevato, subito al di sotto del ministro. E bisogna aver raggiunto il limite massimo d'età previsto dalla legge per i dipendenti della pubblica amministrazione, cioè 67 anni.
Il primo a sperimentare il nuovo strumento messo a punto dal governo sarà Alfredo Siniscalchi, capo dipartimento al ministero dei Rapporti con il parlamento. Età: 67 anni appunto. Stando alla legge, avrebbe dovuto lasciare il suo ufficio, diventare un pensionato dell'Inpdap e liberare la poltrona in favore di qualche collega più giovane. Invece non sarà così. Siniscalchi andrà effettivamente in pensione, rispettando la legge. Però il giorno stesso verrà riassunto, In base al decreto legislativo 165 (una delle cosiddette riforme Bassanini, poi ampliata da Frattini) ogni amministrazione può conferire il 10 per cento degli incarichi da dirigente generale a «persone di comprovata qualificazione professionale». E' la norma che consente di arruolare liberi professionisti o manager di imprese private con contratto a termine.
La scelta viene motivata con questo ragionamento. Perso il nostro capo dipartimento - dicono al ministero - ne abbiamo cercato un altro fuori dall'amministrazione, ci siamo guardati intorno e fra i dirigenti disponibili sul mercato abbiamo trovato l'uomo giusto: Alfredo Siniscalchi. Così il Consiglio dei ministri ha conferito l'incarico al dottor Siniscalchi, dirigente assunto dall'esterno a tempo determinato. Assunzione che ha avuto inizio il giorno stesso del suo pensionamento. La decisione non poteva passare inosservata. La prima a lamentarsene è stata la Ragioneria dello Stato, cioè l'amministrazione che deve pagare gli stipendi. Perché l'aspetto più clamoroso della vicenda sarebbe proprio questo: il dirigente/pensionato può cumulare stipendio e pensione? Qualcuno dice di no. Altri però sostengono di sì, purché si siano superati i quaranta anni di contributi (come nel caso di Siniscalchi). Se così fosse, sarebbe davvero un bel premio per il funzionario che resta al suo posto lavoro, molto meglio degli incentivi introdotti dalla riforma Maroni. Anche la Corte dei conti ha avanzato qualche rilievo prima di registrare il decreto di nomina. Infine ha riconosciuto come valide le argomentazioni prodotte dal governo, facendo contento il ministro Giovanardi che tanto teneva all'apporto del suo collaboratore. Con il sigillo della Corte dei conti, a questo punto si è stabilita una nuova regola: un dirigente che supera il limite di 67 anni può essere pensionato e immediatamente riassunto. Siniscalchi è stato l'apripista. Subito seguito dal collega Giovanni D’Addona, eterno capo dipartimento al ministero dell'Università prima e dell'Istruzione poi. Anche per lui domanda di pensione e riassunzione come esterno, Ma la lista è destinata ad essere molto più lunga, sono almeno altri tre o quattro i dirigenti in posizione di vertice vicini al limite d'età e pronti a percorrere la strada aperta da Siniscalchi. La vicenda fa ripensare a un progetto di legge presentato da Udc e An, discusso fra molte polemiche nei mesi scorsi dalla commissione Affari costituzionali del Senato. Il testo prevede di elevare a 70 anni l'età pensionabile massima per tutti i dipendenti pubblici, (oggi solo i magistrati possono arrivare a 75). L'iter parlamentare, si sa, richiede tempi lunghi. Ma per i pezzi grossi dei ministeri non c'è problema: basta un decreto e un parere della Corte dei conti.
Deliberazione n. 16/2003/P
REPUBBLICA ITALIANA
La
Corte dei conti
Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo
e delle Amministrazioni dello Stato
Nell’adunanza congiunta del I e II Collegio
del 13 novembre 2003
* * * * *
Visto il D.P.C.M. in data 31 luglio 2003; visto il rilievo istruttorio dell’Ufficio di controllo sugli atti dei Ministeri Istituzionali n. 128 del 10 ottobre 2003 e la risposta dell’Amministrazione, pervenuta in data 29 ottobre 2003;
viste le relazioni del Consigliere istruttore e del Consigliere delegato al controllo sugli atti dei Ministeri Istituzionali, rispettivamente in data 3 e 4 novembre 2003;vista l’ordinanza del 5 novembre 2003, con la quale il Presidente della Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato ha convocato per l’adunanza odierna il 1°e 2° Collegio della Sezione;
vista la nota della Segreteria della Sezione centrale di controllo in data 5 novembre 2003, con la quale copia della predetta ordinanza è stata trasmessa alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Segretariato generale, Dipartimento per i rapporti con il Parlamento e Dipartimento per le risorse umane e organizzazione e al Ministero dell’Economia e delle finanze – Gabinetto e Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato;
visto il testo unico delle leggi sull’ordinamento della Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214; vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20; vista la deliberazione n. 14/2000 delle Sezioni riunite della Corte dei conti, adottata nell’adunanza del 16 giugno 2000;visto l’art. 27 della legge 24 novembre 2000, n. 340; udito il relatore Consigliere Giancarlo Castiglione;
sentito per la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le risorse umane e l’organizzazione - l’Avvocato dello Stato Maurizio Di Carlo; Ritenuto in
F A T T O
In data 5 settembre 2003 è pervenuto all’Ufficio per il controllo preventivo di legittimità il D.P.C.M. 31.7.2003 con il quale, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, si dispone il conferimento dell’incarico di Capo dipartimento per i rapporti con il Parlamento al prof. Alfredo Siniscalchi, già titolare dello stesso, dopo il suo collocamento in quiescenza in qualità di estraneo all’Amministrazione dello Stato.
Con rilievo n. 128 del 10 ottobre 2003 questo Ufficio ha sollevato dubbi in ordine alla corrispondenza della fattispecie esaminata con l’ordinamento vigente osservando in particolare che:
a) il conferimento del nuovo incarico, senza soluzione di continuità, rispetto alla data del collocamento in quiescenza, ha come conseguenza il trattenimento in servizio nell’area pubblica di un soggetto ben oltre l’età massima legislativamente prevista;
b) la ratio del comma 6 dell’art. 19 del decreto legislativo citato è intesa a realizzare un ampliamento delle professionalità operanti nell’ambito della P.A., attraverso l’utilizzazione in funzioni dirigenziali – anche in aggiunta alle selezioni concorsuali – di personale dotato di spiccatissime doti di professionalità, rinvenuto all’esterno della stessa Amministrazione ovvero tra coloro che non appartengono già al ruolo dirigenziale ma la cui provvista è possibile in presenza di concrete esperienze di lavoro maturate in ambiti alternativi o contigui;
c) l’adozione di un siffatto procedimento al momento del raggiungimento dei limiti di età per il collocamento in pensione dei dirigenti determinerebbe una situazione di incertezza sull’effettività delle norme che prevedono il pensionamento, in funzione della ampia discrezionalità di cui verrebbe a godere l’Amministrazione.
L’Amministrazione, in sede di risposta ha ritenuto che “i dubbi di legittimità avanzati possano essere superati” sostenendo che:
a) il novellato articolo 19, comma 6, prevede espressamente la possibilità di conferire l’incarico esterno anche a soggetti appartenenti alla stessa amministrazione conferente, senza distinzione o impedimento alcuno tra interno ed esterno, in servizio o in quiescenza, né risulta alcun divieto espresso al riguardo;
b) il combinato disposto in parola, sotto l’aspetto logico-giuridico, pone in speciale relazione il conseguimento degli obiettivi connessi all’incarico e la specifica qualificazione/competenza professionale che consentono al soggetto individuato – sia pure oltre l’età massima ordinariamente prevista nel pubblico impiego – di dare risposta al particolare bisogno pubblico, per tempo determinato ed in base al contingente prefissato;
c) la preposizione ad un Dipartimento così particolare come quello dei rapporti con il Parlamento richiede una personalità ed una qualifica professionale del tutto specifica e che non si può rinvenire in soggetti dipendenti da altre Amministrazioni o, comunque, di provenienza esterna;
d) l’atto di “trattenimento in servizio” oltre la data del collocamento a riposo di un pubblico dipendente non può ritenersi illegittimo quando l’Amministrazione, nell’esercizio di una facoltà discrezionale e nell’autonoma ed insindacabile valutazione delle proprie esigenze, lo disponga, sotto altra forma consentita dall’Ordinamento per un periodo di tempo limitato (cfr. Consiglio di Stato 26 novembre 1971, n. 1138).
Le argomentazioni dell’Amministrazione non sono apparse idonee, ad avviso del magistrato istruttore, a far ritenere superati i dubbi sollevati in ordine alla rispondenza sostanziale del decreto di che trattasi alla normativa vigente in tema di età per il collocamento a riposo dei pubblici dipendenti.
Né del tutto in linea è stato ritenuto il richiamo operato dall’Amministrazione riguardo alla possibilità di conferire incarichi ex articolo 19, comma 6, anche a soggetti appartenenti alla stessa Amministrazione conferente posto che la norma positiva sembra consentire l’ingresso alla dirigenza a soggetti “che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica, desumibile … da concrete esperienze di lavoro maturate anche presso Amministrazioni statali, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza …”.
Trattasi a ben vedere, di soggetti non dirigenti, per i quali viene prevista la possibilità di accedere alla dirigenza.
Infine, ha rilevato il predetto magistrato, apparirebbe tautologico consentire il conferimento di incarichi a dirigenti le cui concrete esperienze di lavoro siano maturate nell’esercizio del “munus” che si intende riconferire.
Constatato il permanere delle perplessità esposte in narrativa, non chiarite né superate in sede istruttoria, il surriferito magistrato ha rimesso gli atti al Consigliere delegato affinché lo stesso valutasse l’opportunità di deferire la questione alla competente Sezione Centrale del controllo, per acquisire la definitiva pronuncia sulla fattispecie esaminata.
Il Consigliere delegato non ritenendo superati i dubbi di legittimità sollevati sul provvedimento in sede istruttoria ha rilevato, altresì, nella fattispecie da un lato un fermo nel “turn over” dei vertici dell’Amministrazione e dall’altro un’ampia discrezionalità di cui verrebbe a godere l’Amministrazione nei confronti dei dirigenti al momento del raggiungimento dei limiti di età da parte degli stessi, i quali si porrebbero in una condizione di soggezione all’autorità di Governo e ciò in aperto contrasto con i principi informatori della legge sulla dirigenza (imparzialità, buon andamento), che vogliono garantire autonomia di gestione ai dirigenti medesimi lasciando al Governo le funzioni di indirizzo politico e di verifica dei risultati (art. 4 D.lgs. 165/2001).
Soggiungeva il predetto magistrato che la vacanza di un dirigente qualificato non legittimava il provvedimento “de quo” dovendo l’Amministrazione essere in grado di assicurare con gli opportuni ricambi la continuità dell’azione amministrativa.
Da ultimo segnalava le conseguenze negative sulla finanza pubblica che avrebbero fatto seguito dall’adozione di siffatti provvedimenti per la contestuale attribuzione in capo allo stesso soggetto di un trattamento pensionistico e di servizio.
Pertanto, reputando che sulla questione dovesse essere assunta una pronuncia collegiale, il Consigliere delegato ha rimesso gli atti al Presidente della Sezione centrale di controllo per il deferimento della questione alla Sezione anzidetta.
Il Presidente con ordinanza in data 5 novembre 2003 ha convocato per la data odierna in adunanza congiunta i due Collegi della Sezione Centrale del controllo di legittimità su atti per la pronuncia sull’affare all’esame.
In data 12 novembre 2003 è pervenuta una ulteriore memoria da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ribadisce sostanzialmente le argomentazioni già svolte a sostegno della legittimità dell’atto, soffermandosi in particolare sulla circostanza che gli incarichi di vertice obbediscono “ad una logica fiduciaria e non comparativa, divenendo quindi una scelta di mera opportunità politica e non una questione di legittimità”.
Viene sostenuto altresì che le censure mosse dall’Ufficio in ordine a soluzioni conservative che ingessano l’Amministrazione vanno rigettate trattandosi di valutazioni che involgono il merito dell’azione amministrativa, sottolineandosi, al riguardo, “come il conferimento di un incarico di vertice ad un dipendente collocato a riposo non può ritenersi di per sé illegittimo per il solo fatto che lo stesso dipendente già ricopriva il posto in questione”.
Nel segnalare poi “le spiccatissime doti di professionalità” del Prof. Siniscalchi (docente di Sociologia dell’Amministrazione alla facoltà di Giurisprudenza – LUMSA – Roma) la Presidenza del Consiglio dei Ministri concludeva nel chiedere l’ammissione al visto dell’atto “de quo”.
“In limine iudicii” è pervenuta una memoria da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, a firma del Ragioniere Generale dello Stato, nella quale si fa presente che il provvedimento in parola non appare in armonia con i principi che disciplinano l’ordinamento della dirigenza statale ed in particolare, come rilevato dall’Ufficio di controllo, con le finalità del suddetto comma 6 dell’art. 19 diretto a consentire alle Amministrazioni la provvista di personale in possesso di specifiche professionalità e peculiari esperienze acquisite al di fuori della stessa Amministrazione.
“Di non secondaria importanza, poi, è la valutazione dell’effetto espansivo che un precedente di questo tipo potrebbe determinare sull’ambito applicativo del ripetuto comma 6 dell’art. 19.
Un’interpretazione della norma, nei termini proposti dall’Amministrazione, consentirebbe di estendere il principio non solo agli incarichi di capo Dipartimento ed agli altri di titolarità di uffici di livello generale, ma a tutti gli incarichi dirigenziali.
Si tratta di un principio suscettibile, peraltro, di essere immediatamente applicato presso la generalità delle amministrazioni pubbliche che potrebbe determinare una sostanziale elusione della normativa generale sul collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, vanificando le finalità perseguite dal legislatore con la normativa in parola.
Il limite previsto dal predetto comma 6 (10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e 8% della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia), tra l’altro, potrebbe rivelarsi inidoneo ad arginare possibili effetti patologici del fenomeno”.
Per quanto concerne la cumulabilità del trattamento di pensione con la retribuzione in capo allo stesso soggetto il Ministro del tesoro allega un parere reso dal Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali (Prot. n. 8/P.P. 70507 del 28.3.2003) in cui si evidenzia il divieto di cumulare, anche parzialmente, pensione e retribuzione quando quest’ultima derivi da un servizio che costituisce derivazione, continuazione o rinnovo del precedente rapporto che ha dato luogo alla pensione.
All’odierna adunanza l’Avvocato dello Stato Maurizio Di Carlo, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel ribadire puntualmente le argomentazioni già rese ostensive nelle precedenti memorie, ha concluso nel chiedere l’ammissione al visto del provvedimento all’esame in quanto ritenuto conforme a legge.
Considerato in
D I R I T T O
La questione all’esame concerne un tema di particolare rilievo nell’ambito della dirigenza pubblica ed in particolare dei vertici della stessa.
Mediante il ricorso all’art. 19, c. 6 del D.lg.vo 165/2001, e successive modificazioni, che conferisce all’Amministrazione la facoltà di ricorrere a professionalità esterne nell’attribuzione di incarichi dirigenziali, l’Amministrazione, con l’adozione del provvedimento in questione, conferma nello stesso incarico il Capo di un dipartimento dopo il suo collocamento in quiescenza in qualità di estraneo.
L’Ufficio ha contestato la legittimità del provvedimento suddetto in quanto, a suo avviso, con lo stesso si viene a realizzare un’elusione del limite di età posto del legislatore per il collocamento a riposo dei dipendenti dello Stato (art. 4 D.P.R. n. 1092/73 e art. 16 D.lgs. n. 503/92). E ciò non rinvenendosi nella fattispecie la cessazione dal servizio del dirigente che viene ad essere confermato, sia pure a diverso titolo, nell’incarico già ricoperto.
Parimenti ha contestato la possibile attivazione nei confronti del medesimo dirigente del surriferito art. 19, comma 6, del D.lgs. 165/2001, posto che il richiamo alle specifiche professionalità di soggetti che già ricoprivano l’incarico, avrebbe come conseguenza un fermo nel “turn over” dei vertici dell’Amministrazione, risultato questo di segno contrario a quello che si prefiggono le norme sulla dirigenza, volte a favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato.
In buona sostanza viene a mancare nella fattispecie l’arricchimento che l’Amministrazione deve ricavare dall’apporto di professionalità esterne per legittimare il ricorso all’art. 19, comma 6 surriferito.
Ulteriore censura ha mosso l’Ufficio in ordine all’ampia discrezionalità di cui godrebbe l’Amministrazione nei confronti dei dirigenti circa la cessazione dal servizio degli stessi, che porrebbe questi ultimi in una situazione di soggezione all’autorità di Governo limitandone l’autonomia di gestione, che le norme sulla dirigenza vogliono loro assicurare (art. 4 D.lgs. 165/2001).
La Sezione è di diverso avviso.
Preliminarmente la stessa si dà carico di respingere le argomentazioni dell’Amministrazione che vorrebbe sottrarre al vaglio di legittimità gli incarichi di vertice, come il caso all’esame, rinvenendo negli stessi “una scelta di mera opportunità politica” non censurabile da questa Corte.
Tale tesi non può essere condivisa dal Collegio.
Infatti, l’art. 19 del D.lgs. n. 165 del 2001, così come modificato dalla legge 15.7.2002, n. 145, individua incarichi dirigenziali di vario livello (capi Dipartimento, Dirigenti di livello dirigenziale generale, Dirigenti) precisando in relazione alla loro rilevanza una diversa specifica procedura di nomina e stabilendo, altresì, una diversa durata, ma nessuna limitazione relativamente ad incarichi dirigenziali di vertice, pone il legislatore in ordine all’esercizio del controllo di legittimità esercitato da questa Corte che, pertanto, è tenuta istituzionalmente a verificare la legittimità degli incarichi dirigenziali conferiti (art. 3 l. 20 del 1994).
E, pertanto, correttamente, afferma la Sezione, l’Ufficio ha esercitato il potere di controllo nel caso in questione.
Passando all’esame del provvedimento “de quo”, tuttavia la Sezione non condivide le censure mosse dall’Ufficio in ordine alla legittimità dell’atto aderendo sul punto alle argomentazioni rese al riguardo dall’Amministrazione.
Ad avviso della stessa, il novellato art. 19, comma 6, prevede la possibilità di conferire incarichi esterni anche a soggetti appartenenti all’Amministrazione conferente.
Tale disciplina normativa, modificativa del precedente testo del d.lgs. 165/2001, è stata preceduta da una deliberazione della stessa Corte dei conti (sez. Controllo 30.1.2001, n. 7) che aveva riconosciuto la possibilità di conferire incarichi anche in favore di dipendenti di qualifica inferiore a quella dirigenziale (posizioni funzionali per l’accesso alla dirigenza) appartenenti alla stessa Amministrazione conferente.
Da quanto sopra, consegue il venir meno di limitazioni o divieti a ricoprire detti incarichi da parte di dirigenti interni alla stessa, Amministrazione, nella specie, di livello superiore.
In ordine al pensionamento raggiunto dal destinatario del provvedimento, l’art. 19, comma 6, succitato, non vieta il conferimento degli incarichi ivi disciplinati a soggetti collocati in pensione, per i quali, di contro, quando il legislatore ha ritenuto di introdurre tale divieto lo ha espressamente sancito (cfr. art. 15 septies D.lgs. 30.12.1992, n. 502); né d’altro canto torna applicabile nel caso di specie l’art. 4, comma primo, del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 che ha riferimento a casistica del tutto diversa da quella del conferimento a tempo di incarichi dirigenziali.
Sul timore paventato dall’Ufficio di controllo di una discrezionalità dell’Amministrazione che con provvedimenti conservativi siffatti possa fermare il naturale avvicendamento dei vertici dell’Amministrazione, la stessa fa riferimento al contenuto proprio dell’art. 19, comma 6, che prevede il ricorso al conferimento di incarichi esterni nell’ambito di un contingente fissato entro limiti ben definiti e precisamente il “10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all’art. 23 e dell’8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia”.
In ultima analisi, la discrezionalità dell’Amministrazione, “nel ricorrere a questa modalità singolare di utilizzazione” trova la sua giustificazione “nel conseguimento degli obiettivi connessi all’incarico e la specifica qualificazione/competenza professionale del soggetto individuato che consentono – sia pure ben oltre l’età massima ordinariamente prevista nel pubblico impiego – di dare risposta al particolare bisogno pubblico, per tempo determinato ed in base a contingente prefissato”.
Ora nella specie, la preposizione ad un Dipartimento così particolare, come quello dei rapporti con il Parlamento, richiede una personalità ed una qualifica professionale del tutto specifica che non si può rinvenire in soggetti dipendenti da altre Amministrazioni o, comunque, di provenienza esterna.
Detti requisiti, “si rinvengono nel caso di specie, proprio per il Prof. Alfredo Siniscalchi in relazione alla funzione che si vuole conferire”.
Tale alta e specifica professionalità è attestata e motivata dal Ministro per i rapporti con il Parlamento nella proposta di conferimento dell’incarico ad un dirigente che già ricopriva il posto in questione.
La Sezione conviene con le argomentazioni fornite dall’Amministrazione, ritenendo le stesse idonee a superare le censure mosse dall’Ufficio di controllo e ciò alla luce delle particolari funzioni che si segnalano svolte nell’ambito del Dipartimento dei rapporti con il Parlamento; funzioni che richiedono per il suo vertice una personalità ed una qualificazione professionale del tutto specifica non rinvenibile nel contesto delle disponibilità professionali dell’Amministrazione.
P.Q.M.
Ammette a visto e registrazione il decreto in epigrafe.
Il Presidente
Il Relatore
Depositata in Segreteria il 4.12.2003