Non sono bastati i terremoti del Novecento (1930, 1962, 1980), le macerie del dopo guerra, l’abbandono in massa delle terre da coltivare, la scomparsa dell’artigianato locale, il difficile e lento recupero di un livello minimo di vita dignitosa, una minaccia vecchia (ma sotto nuove forme) si presenta oggi in tutta la sua pericolosità e imponenza per infliggere un altro duro colpo al tessuto sociale della nostra comunità: l’emigrazione intellettuale. Essa rappresenta una sciagura mortale che potrebbe portare col tempo alla scomparsa delle piccole realtà locali, come quelle nostre della Valle del Miscano, che sono costrette a rinunciare alle loro personalità migliori, alle intelligenze più pronte e vivaci e a privarsi dei propri figli più capaci e brillanti, quindi delle loro risorse più preziose.Naturalmente essa non rappresenta una novità: il nostro territorio è luogo storico di emigrazione. Ma le cause sono da imputare alla pochezza, all’ipocrisia e al cinismo delle classi dirigenti locali (e nazionali)?

 Gli anni passati si sono caratterizzati per Classi dirigenti che non hanno saputo mettere in campo progetti di sviluppo, innovazione e politiche industriali, tali da poter creare spazi di inserimento delle nuove professionalità, nate e formatosi sul territorio: giovani ragazzi e ragazze sono costretti a lasciare il proprio paese di origine e migrare verso aree più modernizzate alla ricerca di uno sfogo al legittimo sogno di affermazione in campi per i quali hanno speso un terzo della propria vita curvi sui libri con la speranza di uscire da uno squallore economico-sociale imperante nelle in zone afflitte da una atavica depressione consolidata nel tempo. Se si guardano le cifre degli abitanti dei nostri paesi dal 1950 ad oggi, si vede quasi dovunque un dimezzamento, o anche numeri ridotti di un terzo. Le cifre, purtroppo, parlano da sole: i nostri cari paesini della Valle si svuotano e perdono terreno nei confronti di altre realtà, pur sempre piccole, ma che ben hanno sfruttato, invece, gli anni di crescita del territorio, di modernizzazione, di spesa pubblica (soprattutto fondi europei). Il nostro territorio sta perdendo, ancora una volta, l’occasione di cercare un riscatto ed accorciare il divario tra una parte del Paese (il Nord) in costante crescita, confermando così un principio base, spesso dimenticato dagli stessi protagonisti dell’esodo: l’emigrazione altro non è, alla fine, che una forma di espulsione di un ceto sociale (povero) da un territorio, per il consolidamento degli interessi dei ceti che rimangono. Vanno via, come in ogni emigrazione che si rispetti, innanzitutto i “poveri”, magari “moderni” cioè laureati, ma “poveri”. Occorre che le classi dirigenti prendano coscienza della loro inettitudine per spronarle alla ricerca e attuazione di specifici progetti per poter invertire la rotta, ma anche invitare le nuove generazioni a resistere, a non abbandonare il proprio territorio, ma a valorizzarlo attraverso studi finalizzati alla creazione di progetti funzionali ad una crescita e ad uno sviluppo moderno e innovativo della nostra Valle. Il rischio, altrimenti, è che del nostro comprensorio rimanga solo un ricordo lontano del tempo ed un mucchio di case vuote.

Pubblicato su: L'informatore del Miscano n°3

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