Per rischiarare con una luce sia pure molto fioca le origini del Trappeto di Montecalvo e il tipo di vita che si pensa si sia svolta per secoli nelle sue case grotte, è opportuno associare le sue vicende a quelle delle abitazioni rupestri che erano presenti in quasi tutti i paesi che circondano il Mediterraneo. La scarsità di conoscenza specifica sul Trappeto è da attribuire fondamentalmente alla totale inesistenza di studi antropologici, archeologici e storici svolti in loco[1]. Perciò, includere il Trappeto montecalvese nella tipologia delle case rupestri del Mediterraneo, che sono state e sono oggetto di approfonditi studi, consente intanto di dire, relativamente alle sue origini e alla sua preistoria, che anch’esso sorse probabilmente nel Neolitico (VI Millennio a. C. circa), se non addirittura, come sostengono alcuni studiosi per quel tipo di abitazioni trogloditiche, nel Paleolitico Superiore.
Abbandonate parzialmente (perché destinate al solo ricovero di greggi o altro bestiame), o totalmente, in periodo pienamente storico, esse furono nuovamente riutilizzate come abitazioni dall’uomo nel Medioevo, a partire dall’estendersi in tutta l’area mediterranea delle gravi condizioni della crisi politica, sociale ed economica succedute alla caduta dell’Impero romano. (E in certe zone marginali, vere e proprie isole interne come la nostra area irpina, anche successivamente al periodo medievale e sino a pochi decenni fa, per il perdurare e incancrenirsi delle loro condizioni di arretratezza civile e socio-economica).Parallelamente al ripristino delle abitazioni in grotta per la vita degli uomini, sorsero dopo la caduta di Roma, con il Cristianesimo delle origini, accanto alle case le chiese rupestri, in Italia specialmente in Calabria e in Lucania. Ragioni spirituali e necessità di pura sopravvivenza diventarono cause anticipatrici di una nuova stagione storica, la quale, però, per gli abitatori delle case grotte, diventò una condizione che permise la loro emarginazione e anche il loro asservimento da parte delle varie élites che si impadronirono del dominio territoriale in cui sorgevano le loro primitive abitazioni. La vita di questi uomini precipitò nelle forme preistoriche arcaiche, tanto che essi condividevano le abitazioni con i loro animali in una domesticità oggi per noi inimmaginabile e le diverse generazioni di una stessa numerosa famiglia erano schiacciate in una miserevole e dolorosa promiscuità.Questa mostra celebra il Trappeto di Montecalvo, con il recupero di vecchie foto che documentano la sua vita prima che gli ultimi abitanti l’ abbandonassero più di un trentennio fa.Le antiche case scavate nell’arenaria e ordinate a gradoni nel costone del monte sono ormai immerse nel silenzio e non danno più segni di presenza umana. L’abitato era ordinato su più ripiani, di modo che le case di un livello inferiore tracciavano con i loro tetti le strade (sentieri quasi campestri, in verità) per le case del livello superiore; e così salendo sino al ciglio del monte, il rione finiva dove cominciava ormai in piano il paese di case “vere”. Quelle del Trappeto avevano delle case vere soltanto la facciata e il primo ambiente d’ingresso, che erano edificati con blocchi dello stesso materiale ricavato dagli scavi della grotta. Questo primo ambiente era lo spazio più importante dell’abitazione perché era insieme cucina e camera da letto, in cui spiccavano per importanza il focolare, la cassapanca del corredo e il lettone alto e capiente. Capiente perché a notte accoglieva per il giusto riposo tutti i componenti della famiglia; meno che l’ultimo o ultima nata della nidiata di figli e nipoti che erano messi a dormire in una culla di legno perennemente occupata da un piccolo ospite e che veniva trasportata ogni mattina, avanti l’alba, nella campagna lontana dei lavori legata sul basto dell’asino. Oltre l’ambiente d’ingresso, le case diventavano semplici antri bucati nella roccia tenera della montagna per ricavare spazio per la stalla, per i figli più grandi, e, giù verso gli inferi, per le cantine e i ripostigli delle misere derrate. Gli ambienti interni erano perennemente bui poiché non vi giungeva se non qualche fioco riverbero della luce esterna che entrava nel primo ambiente tramite una apertura sopra la porta d’ingresso, da cui proveniva anche l’aria.L’uomo ha abitato il Trappeto da molto prima che sorgesse la comunità di Montecalvo, che è nata non molto tempo avanti l’anno Mille. Un paese senza nome, come attesta il toponimo che segnala soltanto un aspetto paesaggistico del monte dopo la spoliazione dei suoi alberi a cominciare già dall’epoca del dominio romano in Irpinia. Il Trappeto, invece, ha avuto una esistenza più che millenaria, come si è ipotizzato sul fondamento più che probabile della sua tipologia abitativa.La sua popolazione era costituita nei decenni precedenti il suo abbandono da contadini e da braccianti assoldati a giornata, tutti asserviti, anche i coltivatori proprietari di poderi scarsamente produttivi e mediante varie forme contrattuali ignote al sistema giuridico moderno, in duri lavori su campi di proprietari latifondisti. Nell’insieme una comunità di uomini e donne schiacciati sul fondo della società locale.Il rione era sopravvissuto a disgrazie di ogni genere: pesti, carestie, malattie endemiche, terremoti, ma a metà degli anni Ottanta del secolo appena trascorso è giunta la sua fine. I “trappetari” come venivano chiamati dagli altri abitanti del paese, avevano cominciato a scappare alla spicciolata già dagli anni Cinquanta, ma negli ultimi anni abbandonarono in massa le case avite diretti alle terre dell’emigrazione, in Nord Italia e nel mondo.Nonostante le condizioni disagiatissime e le dure sfide esistenziali provate sulla loro pelle dagli abitanti del Tappeto, laggiù è stato forgiato un tipo di donna e di uomo che per la loro pazienza, resistenza e coraggio hanno fatto e fanno onore a tutta la comunità montecalvese, sia che essi siano restati in paese o andati spersi in terra d’emigrazione.
[1] Con l’eccezione della tesi di laurea in architettura di Federica Bellucci, Il quartiere Trappeto nel Centro Storico di Montecalvo: tra radici e futuro, pubblicato in “Disputationes Pompilianae”, Anno II, Numero 7 – giugno 2007.
Foto: Franco D'Addona