«La sekoma di montecalvo irpino prima banca del civico monte frumentario»
Seconda parte
Tale concessione (vedi prima parte) riverberò effetti di grande portata sia nel tessuto economico, sia sul piano socio-culturale. Le condizioni politiche dell’italia meridionale, ove la lotta contro la casa imperiale non aveva prodotto, a differenza di quanto era accaduto al nord italia, la formazione dei liberi comuni, non consentirono la creazione di corporazioni, tra cui quella dei fornai, che avrebbero potuto sviluppare regole e canoni propri. Ciò nonostante, grazie alla possibilità di panificare liberamente, «senza nisciuna contraddittione», la comunità montecalvese imparò a guadagnare e a difendere propri diritti. Dall’altro canto, si crearono le condizioni ideali per sviluppare tecniche di molitura e panificazione che, man mano, nel corso dei secoli, saranno alla costante attenzione del locale governo civico. Naturalmente la concessione reale non avrebbe avuto senso, o quantomeno sarebbe rimasta monca, se non avessero avuto, i montecalvesi, la libertà di provvedere alla conservazione autonoma delle derrate.
Il terzo capitolo del privilegio provvede, quindi, ad assicurare la comunità circa la possibilità di poter allestire fosse granarie in pubblici spazi: «item fosse per conservare grano, et ogni altra vittuvaglia, pozza fare omne persona allo terreno pubblico, provveduto per lo iodice della terra». L’otto ottobre del 1483 il gran siniscalco del regno, Pietro Guevara, invia da ariano a montecalvo la riconferma dei quarantotto capitoli che re Ferdinando I° d’Aragona riaffermerà il primo ottobre del 1486, all’indomani della sventata congiura dei baroni, di cui lo stesso Guevara era stato uno dei massimi fautori. Non è improbabile che la reiterazione delle concessioni reali alla comunità montecalvese sia stata favorita, in tale occasione, dalla presenza a corte del montecalvese Angelo Cammisa, consigliere collaterale della corona e fedele al re nel delicatissimo frangente della congiura. Fu proprio l’intervento del Cammisa presso il sovrano a salvare la vita al ribelle gran siniscalco, comunque esiliato dal regno.l’obiettivo del re era quello di affermare e inculcare nell’animo dei sudditi i doveri verso la corona e l’obbedienza alle istituzioni, isolare i fiancheggiatori della congiura, ripristinare l’attività giudiziaria delle regie udienze, spingere i contribuenti a pagare le tasse. Fu proprio all’indomani della congiura che montecalvo si vide sottrarre da Casalbore l’uso del terreno di pietrapiccola ove, peraltro, i Casalboresi, per antica consuetudine, già in passato seminavano e pascolavano. Tramite il procuratore reale Camillo Mauro del quarto, l’università di Casalbore, in cambio dell’uso di pietrapiccola, promise alla corona il controvalore di tomoli 932 di frumento su di una produzione complessiva imponibile di tomoli 11.184 senza contare la produzione di fave, cicerchie, ceci, spelta ed orzo, come nel 1491 accerterà l’erario Angelo Granata. Naturalmente montecalvo si oppose a tale richiesta e ne nacque un contenzioso che caratterizzò buona parte della storia economica montecalvese nel corso della seconda metà del xv secolo e prime decadi del xvi. Sventato il pericolo della cospirazione, il sovrano smembra la contea di ariano che iniziò, da allora, l’inesorabile declino. Montecalvo di contro ne guadagnò in autonomia. Nello stesso anno 1486, infatti, re Ferdinando avocò a sé il governo dei feudi appartenuti ai ribelli Guevara, per cui montecalvo, passò sotto il governo della regia corte che fino al 1494 v’inviò dei propri governatori: i cosiddetti capitani. Di lì a qualche anno le difficoltà economiche del regno di Napoli indussero re Alfonso II° a vendere, per settemila ducati, le terre di montecalvo, Corsano e pietrapiccola. Il ricavato servì al monarca per pagare gli stipendi all’esercito e per mantenere la flotta a difesa del regno. In virtù di tale atto, con diploma del 24 marzo 1494, i feudi passarono ai fratelli Caterina ed Ettore Pignatelli, primo duca di Monteleone, questi, conte di borrello e viceré di Sicilia. Nel settembre dello stesso anno le truppe di Carlo VIII°, re di Francia, piombano in Italia a reclamare diritti di legittimità sul trono di Napoli. Il 22 febbraio del 1495 re Carlo occupa Napoli e già il giorno seguente, onde evitare prevedibili saccheggi, il castello di ariano si arrende alle truppe transalpine. Fra i testimoni del documento di resa, redatto dal notaio arianese Leonardo de julianis, ritroviamo, fra gli altri testimoni, il giureconsulto montecalvese Bartolomeo Bozzuti. Smaltita la sorpresa della repentina conquista, le truppe spagnolo-napoletane, sostenute dal popolo, reagirono veementemente. Sotto la guida di re Ferrandino, in favore del quale all’indomani dell’invasione francese aveva abdicato il padre Alfonso ii, riuscirono a mettere in fuga il sovrano francese, preoccupato, oltretutto dalle notizie che gli giungevano circa una lega santa, capeggiata dal pontefice Alessandro VI°, contro di lui. In questo delicato frangente i due eserciti si fronteggiarono nella valle del Miscano, tra montecalvo e Casalbore quello francese, in territorio montecalvese quello napoletano. Ecco come Francesco Maria Guicciardini nella sua «historia d’Italia» tramanda l’episodio: «[…] finalmente essendo i francesi alloggiati sotto Montecalvoli, e Casalarbore, presso ad Arriano, Ferdinando accostatosi loro per tanto spazio, quanto è il tiro di una balestra, ma alloggiando sempre in sito forte gli ridusse in necessità grande di vettovaglie, e gli privò medesimamente dell’uso dell’acqua; donde deliberati d’andarsene in puglia dove speravano avere comodità di vettovaglie e temendo della propinquità dei nemici, delle difficoltà, che facilmente sopravvengono agli eserciti che si ritirano; levatisi tacitamente al principio della notte camminarono innanzi fermandosi dopo venticinque miglia». Fu questo, forse, il momento di più alta tensione della permanenza delle truppe francesi nel regno di Napoli sfiorandosi concretamente una battaglia che, comunque, non ci fu. (continua)
Fonte Giovanni Bosco Maria Cavalletti
«la sekoma di montecalvo irpino prima banca del civico monte frumentario» seconda parte
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