Il 7 maggio del 1501 re Federico d’Aragona, succeduto allo sfortunato Ferrandino, morto ad appena ventotto anni il 7 ottobre del 1496, approva la vendita del feudo di montecalvo con il castello di Corsano e la terra di pietrapiccola, vendita che i baroni Ettore e Caterina Pignatelli avevano effettuato in favore di Alberico Carafa duca di ariano.
Nel corso dell’estate dello stesso anno 1501 il regno di Napoli è ancora invaso dalle truppe francesi.
Questa volta è luigi xii che, dopo aver conquistato il ducato di Milano punta, d’accordo con il re di spagna Ferdinando il cattolico, alla conquista di Napoli.
L’intesa franco spagnola, siglata a Granada il 2 novembre del 1500, prevedeva la spartizione dell’Italia meridionale tra la Francia, a cui sarebbero toccati Napoli con la Campania e l’Abruzzo, e la spagna che avrebbe annesso la puglia e la Calabria al regno di Sicilia.
In effetti, nel 1501 Luigi XII° occupa Napoli, ma le truppe spagnole, comandate dal generale Consalvo Fernandez de Cordoba, che già avevano invaso la puglia e la Calabria, non riconobbero valido l’accordo dando inizio, sul suolo italiano, ad una guerra contro i francesi che si concluse nel 1503 con la vittoria degli spagnoli.
Iniziò allora la serie dei viceré di Napoli primo dei quali, nominato da Ferdinando il cattolico, fu lo stesso de Cordoba.
Durante la brevissima dominazione francese, con diploma dato in Caivano nel settembre del 1501, il castello di montecalvo era stato dato da re luigi xii al suo fedelissimo Pietro del Rohan, sire di Gié, ciambellano e maresciallo di Francia, già comandante l’avanguardia dell’esercito francese nella battaglia di fornovo del 6 luglio 1495.
Ristabilita la supremazia spagnola, re Ferdinando restaurò il ducato arianese che, con montecalvo, tornò in possesso di Alberico Carafa.
Nel 1505, montecalvo riebbe la sua autonomia nei confronti di ariano e dal 1525, con l’annessione dei feudi di Corsano, ginestra, motta, pietra e Volturino, fu contea.
Sigismondo Carafa fu il primo conte di montecalvo.
[…]
Le continue rassicurazioni da parte dei sovrani circa l’autenticità delle concessioni a favore della comunità civica fa supporre sollecitazioni di questa in difesa di possibili, e probabili tentativi nell’imposizione di dazi e gabelle da parte dei baroni ma, nonostante il peso politico delle famiglie che si avvicendarono nella storia feudale montecalvese, basti ricordare il prestigio dei Carafa che, oltre a dare un papa alla chiesa universale, tennero la sede episcopale napoletana dal 1458, eccettuata una piccola parentesi, fino al 1576, i diritti acquisiti in materia di molitura e panificazione furono sempre una prerogativa esclusiva dei cittadini e della pubblica amministrazione.
Per tali motivi, nonostante la realtà politica generale del regno tendesse ad accentrare, monopolizzandolo, lo sviluppo della panificazione, la situazione montecalvese, difesa e gestita dal consesso decurionale, riuscì a mantenere condizioni favorevoli sia allo sviluppo delle tecniche di panificazione sia, soprattutto, alla gestione alimentare dei cereali.
E’ nel periodo Carafa (1505– 1594) che compaiono, rappresentando un unicum nella locale storia feudale, insegne nobiliari, ma anche civiche, inserite in scudi, stilizzati in forma rinascimentale, a testa di cavallo.
I più rappresentativi di questi sono quello contenente le insegne dei Carafa della spina da cui si originò il ramo della stadera dei conti di montecalvo sito nell’arco trionfale della cappella Carafa nella chiesa di santa maria maggiore, e quello posto sullo spigolo del lato nord del castello di via dietro corte, contenente le insegne di alleanza fra Sigismondo Carafa, conte di montecalvo dal 1525, e la consorte Francesca Orsini dei conti di Pitigliano e di Nola.
Analoga guisa, identica anche nella originale figurazione delle otto sporgenze, libera licenza rispetto alle sette, nove, o dieci, dettate dalle leggi araldiche per gli scudi a testa di cavallo, alle 9 per quello bucranico che si distingue per una forma meno oblunga rispetto allo scudo a testa di cavallo con pari sporgenze, o alle sei per gli scudi rinascimentali, è quella riprodotta nel manufatto oggetto del nostro studio.
L’intenzionalità di rappresentare, in entrambi i casi, l’identica e originale variante di uno scudo regolarmente codificato appare come un lampante indizio della coeva, o quantomeno vicina nel tempo, esecuzione delle due armi.
La singolare variante dello scudo a testa di cavallo, riprodotto con le otto sporgenze, sembra essere una specificità del periodo Carafa i cui duchi di Ariano, dai quali avevano avuto discendenza i conti di montecalvo, lo fecero eseguire un po’ in tutte le produzioni artistiche che promossero in ariano nel XVI° secolo.
Lo scudo del nostro manufatto e quello contenente i blasoni Carafa-Orsini (eseguito nello XVI° secolo sullo spigolo nord del castello di montecalvo), presentano una sorprendente analogia nelle licenze in rapporto alle leggi araldiche.
Altro elemento iconico di indubbia utilità nel tentativo di datare correttamente il nostro reperto è la riproduzione dell’emblema civico dei tre monti, anch’essa in pietra, ma di calcare bianco, eseguito con la stessa tecnica dell’alto rilievo sul prospetto della fontana del palummaro, nell’omonima contrada di montecalvo.
In tal caso abbiamo l’anno preciso dell’esecuzione:1564.
Singolare è lo scudo di tipo accartocciato che lo contiene.
Solo dal secolo xvii, infatti, l’uso di tale forma, al pari delle fogge a testa di cavallo, sarà tipico nella realizzazione di monumenti e sculture.
Taluni araldisti sostengono che la sua guisa sia stata promossa da uomini di lettere e di toga, volendo, la sua forma indicare i rotoli dei manoscritti e delle leggi.
Tale teoria diviene interessante allorché consideriamo che i primi quattro firmatari di una delibera comunale del 1586, che nel corso di questo studio esamineremo, erano Giovan Battista Pirrotti (morto nel 1601), avo diretto di San Pompilio, dottore nel diritto civile e canonico, vice conte e amministratore, dal 1572 al 1576, dei possedimenti della famiglia Carafa, sia dei conti di montecalvo sia dei duchi di ariano, nonché uditore, da 1577, per conto degli stessi Carafa, di tutti i feudi della potente famiglia napoletana; il dottore in utroque iure Angelo Cafaro e i dottori nelle leggi Scipione e Pomponio Cammisa, discendenti di Angelo, consigliere di re ferdinando i d’Aragona ed esponenti di una delle famiglie più illustri per quel che riguarda la conoscenza del diritto nel cinquecento montecalvese.
Anche nel caso della fontana del «palummaro» i tre monti riaffermano l’autorità comunale su un suo precipuo diritto, questa volta la gestione dell’acqua a favore della cittadinanza, non a difesa delle pretese baronali, ma nei confronti della commenda di malta che lì aveva importanti possedimenti agricoli.
Continua
Fonte:
Giovanni Bosco Maria Cavalletti